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Coronavirus, nei bambini conferme sul legame con la malattia di Kawasaki

Lucio Verdoni, primo autore dello studio, ha dichiarato: “Abbiamo notato un aumento del numero di bambini arrivati al nostro ospedale con una condizione infiammatoria simile alla malattia di KAWASAKI nel periodo in cui l’epidemia di SARS-CoV-2 stava prendendo piede nella nostra regione. Sebbene questa complicazione rimanga molto rara, il nostro studio fornisce ulteriori prove su come il virus possa causare nei bambini diversi tipi di patologie. Nonostante la condizione rimanga rara, questo riscontro dovrebbe essere preso in considerazione quando si considera l’allentamento delle misure di allontanamento sociale, come la riapertura delle scuole”.

I pediatri del Papa Giovanni hanno effettuato uno studio retrospettivo su tutti i 29 bambini ricoverati con sintomi della malattia di KAWASAKI dall’1 gennaio 2015 al 20 aprile 2020. Prima del marzo 2020 l’ospedale curava un caso di malattia di KAWASAKI ogni tre mesi. Durante i mesi di marzo e aprile 2020, dopo l’insorgenza dell’epidemia di COVID-19, i bambini trattati sono stati 10, e ad oggi sono aumentati a 20. L’aumento non e’ spiegato da una crescita dei ricoveri ospedalieri, poiche’ il numero di pazienti ricoverati nei mesi di marzo e aprile 2020 e’ stato sei volte inferiore rispetto a prima che il virus fosse stato segnalato per la prima volta nell’area. I bambini che presentavano sintomi dopo il marzo 2020 avevano in media qualche anno di piu’ (eta’ media 7,5 anni) rispetto al gruppo diagnosticato nei precedenti cinque anni (eta’ media 3 anni).

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Inoltre manifestavano sintomi piu’ gravi rispetto ai casi passati, con oltre la meta’ (60%, 6/10 casi) con complicanze cardiache, rispetto al solo 10% di quelli trattati prima della pandemia (2/19 casi). La meta’ dei bambini (5/10) presentava segni di sindrome da shock tossico, mentre nessuno dei bambini trattati prima del marzo 2020 aveva questa complicanza. L’80% dei bambini (8/10) ha richiesto un trattamento aggiuntivo con steroidi, rispetto al 16% di quelli del gruppo storico (4/19). I medici bergamaschi sostengono che, nel loro insieme, i loro risultati rappresentano un reale incremento dell’incidenza della malattia di KAWASAKI associata all’epidemia da SARS-CoV-2. Tuttavia riportano che tale associazione va confermata in studi piu’ ampi.

“Anche se questa complicazione rimane molto rara, il nostro studio fornisce ulteriori prove su come il virus possa agire nei bambini. Dopo il 18 febbraio, i bambini con la sindrome di Kawasaki erano mediamente di 4 anni piu’ grandi rispetto ai pazienti degli anni precedenti, ma i sintomi sembravano piu’ severi. La meta’ aveva i segni di shock tossico, una complicazione mai osservata prima”, chiarisce Verdoni. “Il nostro studio si basa su un numero limitato di pazienti, percio’ saranno necessarie ulteriori ricerche per confermare l’associazione tra Covid-19 e sindrome di Kawasaki, anche se stiamo verificando casi clinici simili in altre aree colpite dall’attuale pandemia, negli Stati Uniti e nel Regno Unito”, precisa Lorenzo D’Antiga, seconda firma dell’articolo. “Secondo i nostri dati, la percentuale di bambini che sviluppa questa sindrome e’ piuttosto bassa, ma e’ importante il confronto internazionale per avere risposte e attuare strategie preventive per questa minaccia globale”, commenta Annalisa Gervasoni, specialista in Pediatria presso l’ospedale di Bergamo e coautrice dello studio. Commentando la ricerca bergamasca, Russell Viner, presidente del Royal College of Paediatrics and Child Health sottolinea che i bambini sembrano comunque meno a rischio infezione da coronavirus. “Studiare le complicazioni nei bambini potrebbe aiutarci a definire le risposte immunitarie a Sars-CoV-2 e a sviluppare un vaccino efficace”, conclude Viner.

di Manlio Melluso
© Riproduzione Riservata
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