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Wi-fi, 5G, connessioni sempre più potenti: l’elettrosensibilità una malattia sentinella dell’inquinamento elettromagnetico?

L’elettrosensibilità (ES) è un insieme di sintomi fisici e/o psicologici che un soggetto afferma essere causati da campi magnetici, elettrici o elettromagnetici, a un livello di esposizione tollerato dalle altre persone.

L’ES non è riconosciuta come una vera e propria malattia dall’Organizzazione mondiale della sanità e dalla comunità scientifica. La principale obiezione è la mancanza di evidenze scientifiche che forniscano parametri in grado di dimostrare il rapporto di causa-effetto tra sintomi ed esposizione.

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Da quando nel 2005 una revisione sistematica ha rilevato che non c’è alcuna prova che tali malesseri siano causati dai campi elettromagnetici, molti studi sono stati pubblicati, ognuno dei quali suggerisce che coloro che affermano di essere malati non riescono a distinguere la presenza del campo elettromagnetico.

La OMS rileva che studi ben controllati hanno mostrato come i sintomi non sono causati dai campi elettromagnetici e che ci sono alcune indicazioni che tali sintomi sono dovuti a preesistenti condizioni psichiatriche, stress o sono causati dalla stessa paura dei campi elettromagnetici. La OMS aggiunge che la mancanza di evidenti basi tossicologiche o fisiologiche e di verifiche indipendenti la rendono simile ad un’altra condizione patologica: la sensibilità chimica multipla.

Eppure gli “elettrosensibili” in Svezia sono 250mila, e ricevono dallo Stato un contributo economico. Uno studio ha stimato che circa il 10% dei soggetti ES in Svezia sono in malattia o sono in pensione anticipata o pensione di disabilità, paragonati al 5% della popolazione generale, mentre una seconda ricerca ha riportato che su 3406 persone che accusavano “disturbo” da dispositivi elettrici l’11% riporta “molto” disturbo.

In Canada all’Università di Lakehead sono state disattivate tutte le centraline Wi-fi, “perché – si legge sul sito dell’Ateneo – è provato che le onde elettromagnetiche provocano disturbi comportamentali“.

A Parigi il Wi-fi è stato disattivato in quattro biblioteche. E ci sono città negli Stati Uniti dove l’accesso ad internet è stato eliminato perchè si è deciso di applicare il principio di precauzione.

In Germania, nel 2009 il ministro dell’Ambiente ha affermato che l’uso del Wi-fi comporta gravi rischi per la salute e che pertanto questa tecnologia dovrebbe essere impiegata il meno possibile.

In Italia le stime dicono che le persone malate di elettrosmog sono 600.000. Eppure non esiste alcun piano nazionale di controllo sulle installazioni di infrastrutture. L’Oms parla solo di “intolleranza ambientale”. Non ci sono regole, non ci sono limiti comunali né pianificazioni minime. Anche il TAR della Campania si è pronunciato affermando che si tratta di opere assimilate alle infrastrutture di urbanizzazione primaria. Nel frattempo il National Toxicology Program e l’Istituto Ramazzini di Bologna hanno pubblicato ricerche sugli effetti biologici dell’elettrosmog, e il cancro è solo la punta dell’iceberg, come afferma Fiorella Belpoggi, direttore dell’Istituto, che non ha paura di denunciare corruzione ed enormi interessi delle multinazionali della telefonia, che “ostacolano la conoscenza sui dati scientifici, in un gigantesco esperimento di sanità pubblica condotto senza il consenso informato dei suoi soggetti”.
Il National Toxicology Program e Istituto Ramazzini hanno quindi fornito alla comunità medico-scientifica internazionale le più aggiornate ricerche sugli effetti biologici dell’elettrosmog, l’anello mancante sette anni fa nel 2011: quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sulla scorta dell’incompleto e discusso Studio Interphone, classificò temporaneamente in Classe 2B (possibile cancerogeno) le radiofrequenze, aggiornamento ora al vaglio del massimo organismo sanitario mondiale (l’evidenza di oggi spinge per la Classe 1, elettrosmog cancerogeno certo!).

Solo per fare comprendere la grandezza del fenomeno, a Roma oggi esistono 5.000 stazioni radio base distribuite in 15 municipi. Poi ci sono 3.000 ripetitori ufficiali, 200.000 nuovi impianti. A Milano saranno 19.000.000 le abitazioni raggiunte per servizi di ultrabroadband, 4.000.000 di persone coinvolte nella sperimentazione 5G.

Italia, 16.000.000 di chilometri complessivi di fibra su tutto il territorio nazionale, pari a 400 volte la circonferenza del nostro pianeta. Un milione di dispositivi per chilometro quadrato secondo l’Agicom, ovvero 20 miliardi di connessioni.

La battaglia per il riconoscimento sulla cancerogenesi è però una corsa contro il tempo, se nel 2019 sarà avviato sul 98% del territorio nazionale il temuto 5G, vera e propria immersione in un farwest elettromagnetico senza precedenti nella storia dell’umanità.

di Giuseppe Natoli
© Riproduzione Riservata
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