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Perché il COVID-19 colpisce meno i bambini? La risposta dall’anatomia umana

di Valeria Militello

Uno studio dell’infezione da COVID-19 nei bambini cinesi, pubblicato pochi giorni fa sulla rivista internazionale “Pediatrics” a cura del Prof. S. Tong dello Shanghai Children’s Medical Center, mostra che su 2145 casi pediatrici totali, oltre il 90% erano asintomatici o avevano sintomi lievi o moderati, con un solo decesso riscontrato, per un indice di letalità dell’infezione – definita come numero di morti diviso per il totale dei casi – che è, per gli infettati al di sotto dei 18 anni, pari a <0,05%. Lo studio conclude che i bambini sono “naturalmente protetti” dall’infezione, senza tuttavia fornirne una spiegazione. Ho allora provato a interrogare sull’argomento un docente ricercatore che ha trascorso la propria vita accademica a studiare l’uomo nella sua complessità biologica, dal momento della fecondazione dei gameti all’invecchiamento e la morte dell’organismo, il prof. Francesco Cappello, ordinario di Anatomia umana presso l’Università degli Studi di Palermo, e la risposta che ho avuto è stata incredibilmente semplice: 

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“Probabilmente perché i giovani hanno il timo!”.

Ma cercando tutti i lavori sul COVID-19 che parlassero di timo non ne ho trovato neanche uno! Allora ho ripreso il telefono e chiesto più informazioni al prof. Cappello.

Il timo, assieme al midollo osseo, è un organo linfoide primario, ossia produce i linfociti, cellule che viaggiano nel sangue e raggiungono gli organi del nostro corpo nei quali svolgono funzioni collegate all’immunità e quindi anche all’infiammazione. I linfociti prodotti dal timo, in particolare, sono i “linfociti T” (la lettera “T” ricorda la loro origine, n.d.r.). Essi difendono il corpo umano da patogeni esterni, quali ad esempio i virus, attraverso due meccanismi: uno diretto e uno indiretto. Il primo prevede che una classe di linfociti T, detti “citotossici”, aggrediscano le cellule infettate. Il secondo invece prevede l’attivazione, da parte dei linfociti T “helper” (aiutanti, n.d.r.), di altre cellule per la genesi di una risposta immune contro il patogeno. Ma io non sono un immunologo” precisa subito Cappello “quindi per maggiori dettagli su questi meccanismi vi prego di rivolgervi a uno specialista della materia”.

Ci spieghi allora perché ipotizza che i bambini e i soggetti giovani siano protetti dal timo: in che senso?

Il timo è un organo ancora misterioso, per certi aspetti. Esso si forma in epoca embrionaria nel collo e migra poi nel torace, dove si posizione davanti al cuore, dietro lo sterno. Molti soggetti non sanno neanche di averlo! È molto voluminoso e funzionalmente attivo nei bambini. Al termine dell’adolescenza, al pari di altri organi quali ad esempio il midollo osseo o alcune ghiandole, si “infarcisce” di tessuto adiposo: tecnicamente si dice che va incontro a una “sostituzione adiposa”, non si sa il perché ma questo porta a una riduzione del 90% o più del volume di timo in grado di produrre linfociti T. Questo determina a cascata una riduzione della capacità dell’organismo a difendersi da agenti patogeni via via che si invecchia. Bisognerebbe studiare meglio il ruolo che ha il timo, e in particolare le cellule e le altre sostanze chimiche che esso produce e rilascia nel sangue, nella protezione dall’infezione da COVID-19: probabilmente si troverebbero delle risposte sui meccanismi che determinano la patogenicità di questo virus e si potrebbero anche elaborare nuove ipotesi terapeutiche. Da questo punto di vista, sarebbe molto importante valutare la funzionalità timica nei bambini che hanno sviluppato sintomi tali da richiederne il ricovero, in paragone a quelli che, pur positivi, non li hanno sviluppati”.

Se è così importante, come fa l’organismo a sopravvivere allora fino a tarda età con pochissimo parenchima timico? 

Questo è un argomento oggetto di studio da parte di numerosi gruppi di ricerca, tuttavia non c’è una risposta univoca: alcuni hanno ipotizzato che altri organi (il midollo osseo o gli organi linfoidi secondari, come ad esempio il tessuto linfoide associato alle mucose intestinali) possano prenderne il ruolo ma probabilmente la risposta immune dei soggetti adulti e anziani ha una variabilità che dipende dalle difese immunitarie che siamo stati in grado di sviluppare da giovani. A riprova di ciò, aggiungo che le cellule infiammatorie, inclusi i linfociti, sono importanti anche per la rigenerazione dei tessuti e quindi per rallentare l’invecchiamento degli organi e sappiamo bene che non tutti invecchiamo alla stessa maniera”.

Per concludere, ci sono strategie per “sostituire” il timo che nei soggetti adulti/anziani non è più presente, se non in minime concentrazioni, e quindi aiutare questi individui a reagire meglio a malattie virali come quella causata dal COVID-19?

Al momento no, ma valgono tutte le regole generali, anche di buon senso, che conosciamo essere efficaci per mantenere le cellule del nostro corpo, incluse quelle del sistema immune, in buona salute: cercare di ridurre al minimo lo stress, avere una sana alimentazione, svolgere un moderato esercizio fisico quotidiano. Sicuramente le necessarie limitazioni di movimento introdotte dalla quarantena ostacolano l’ultimo punto, per questo è necessario concentrarsi sui primi due, soprattutto sull’alimentazione, che dev’essere sana e parca”.

di Valeria Militello
© Riproduzione Riservata
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