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Medicina e Sport: regole confuse per la Fase 2, intervista a Francesco Cappello

La scorsa settimana l’Ufficio per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha emanato le nuove “Linee guida per l’esercizio fisico e lo sport” elaborate con il supporto del CONI. Lo scopo è quello di fornire le indicazioni generali e le “azioni di mitigazione” necessarie ad accompagnare la ripresa dello sport, attualmente limitata alla fase degli allenamenti, a seguito del lockdown per l’emergenza COVID-19. A queste linee guida dovranno attenersi tutti i soggetti che hanno la responsabilità di impianti sportivi o che li gestiscono, a qualsiasi titolo.

Ho chiesto un parere a Francesco Cappello, Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport e dell’Esercizio Fisico dell’Università degli Studi di Palermo che, con alcuni medici della Scuola, inclusi gli assistenti in formazione, ha formato un gruppo di lavoro che da settimane esamina, divulga e cerca di chiarire i vari aspetti tecnici di tutti i documenti ufficiali fin qui prodotti e che hanno a che vedere con la ripresa delle attività sportive post-COVID-19 in sicurezza.

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Professore, cosa la colpisce di più di queste linee guida che hanno l’obiettivo di costituire un indirizzo generale strettamente legato all’emergenza?

Leggendo il documento, la prima cosa che ci colpisce è che queste linee guida sono state probabilmente pensate per essere attuate all’interno di impianti sportivi di considerevoli dimensioni e nei quali si svolgono attività di carattere omogeneo o che rientrino all’interno delle stesse categorie di rischio. Al contrario, questo non si può dire per i tanti impianti minori polifunzionali, distribuiti su tutto il territorio nazionale, all’interno dei quali vengono svolte regolarmente attività fisiche diverse, con differenti categorie di rischio, e che spesso condividono percorsi, locali, macchinari e talvolta anche il personale della struttura.

Ciò significa che situazioni di questo tipo dovrebbero comportare differenti modalità di gestione sia degli stessi spazi sia del personale?

Certamente, per ovviare a questa evenienza si potrebbero scaglionare le diverse attività in differenti orari/giorni ma il rischio è che si crei una condizione nella quale alcuni impianti potrebbero promuovere determinate discipline a vantaggio di altre, in base al numero di iscritti, creando chiaramente un quadro discriminatorio per le discipline considerate “minori” e/o con un minor numero di iscritti. E, in questo contesto, ancora a maggior rischio sarebbero soprattutto quelle attività rivolte alla salute e al benessere delle persone disabili, già profondamente carenti a livello territoriale.

C’è poi la questione del medico competente, ne possiamo chiarire meglio il ruolo, in modo che sia a beneficio di tutti?

Nelle linee guida emerge chiaramente l’importanza ed il legame tra il DVR, ovvero il documento di valutazione del rischio, e il medico competente. Il DVR, il cui obbligo è in capo al datore di lavoro/gestore del sito sportivo/rappresentante dell’organizzazione sportiva, prevede quelle azioni necessarie da adottare per prevenire il rischio di infezione da COVID-19, tipo pratiche di igiene, distanziamento sociale, gestione turni, sanificazione, etc. Il medico competente (come evidenziato dal Ministero della Salute con la circolare 145 del 29 aprile 2020) ha tra i suoi obblighi quello di collaborare con il datore di lavoro/gestore del sito sportivo/rappresentante dell’organizzazione sportiva, supportandolo nella valutazione del rischio e operando la sorveglianza sanitaria in un contesto peculiare quale quello della ripresa dell’attività fisica e sportiva in periodo pandemico. Deve anche informare e collaborare con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi.

Quindi una responsabilità imponente

Si, ma si resta un pò perplessi quando si legge testualmente “il medico competente, ove nominato”, per cui è legittimo chiedersi a chi possa effettivamente fare riferimento questo documento nel momento in cui non fosse possibile collaborare con il medico competente al fine di stilare la valutazione del rischio. E poi, nei contesti organizzativi nei quali non sia possibile, per assenza del medico competente e/o impossibilità logistica di predisporre piani di evacuazione che evitino situazioni di aggregazione, non è chiaro in che modo dovrebbe procedere l’iter di riapertura. A ciò si aggiunga che il documento contempla anche la presenza di organizzazioni che non siano soggette agli obblighi di redazione del DVR e di nomina del medico competente, per le quali è comunque stabilito l’obbligo di attenersi al protocollo di sicurezza emanato dall’ente di affiliazione (Federazioni Sportive Nazionali o FSN, Discipline Sportive Associate, o DSA, e Enti di Promozione Sportiva, oEPS) e, in questi contesti, non è chiaro chi si dovrebbe occupare di educare e fornire agli operatori del settore le adeguate informazioni sui rischi specifici. Probabilmente questi aspetti saranno chiariti con successive circolari.

Quindi queste linee guida confondono anziché chiarire?

Un pò si, perché si rifanno alle indicazioni tecnico-organizzative emanate dalle singole federazioni, che tuttavia non sono redatte in modi e tempi uniformi. Ne risulta evidente il dubbio se l’apertura degli impianti sportivi dedicati dovrebbe avvenire solo a seguito della emanazione dei singoli protocolli, e quindi programmare riaperture in tempi diversi tra impianti di diversa tipologia, oppure se fare riferimento alle tempistiche emanate dal decreto ministeriale, che porterebbe a riaperture con linee guida non disciplina-specifiche. Anche questo lo capiremo probabilmente nelle prossime settimane.

Infine ci colpisce che, nonostante da tutti gli studi scientifici prodotti fino ad oggi sul COVID-19 sia emersa una netta differenza in termini di effetti sulla salute tra le categorie di bambini-adolescenti e anziani, questo documento non contempla differenze di nessun genere nell’accesso alle strutture sportive relativamente alla questione anagrafica.

Condivido appieno questa osservazione. Se le persone anziane rappresentano sicuramente quelle più esposte, i bambini-giovani sono quelli che potrebbero avere maggiori difficoltà a comprendere e rispettare le norme di distanziamento previste dalle singole strutture. In questo contesto andrebbe assolutamente evitata la commistione di queste categorie e potrebbe essere necessario progettare una differenziazione e selezione degli accessi, in strutture, percorsi e orari specifici, per le fasce di popolazione a maggior rischio, o addirittura valutare la possibilità di impedire l’accesso a determinate categorie maggiormente esposte al fine di tutelarne la salute.

Insomma, si prospettano ancora tempi duri per gli sportivi prima di poter ritornare a svolgere, in sicurezza, le attività pre-COVID-19.

Valeria Militello

di Valeria Militello
© Riproduzione Riservata
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