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Gocce di anatomia: il “terzo occhio” che vigila sul nostro corpo

 

Professore Francesco Cappello

Qualche settimana fa alcuni giornali e agenzie di stampa italiani hanno ripreso un articolo pubblicato dalla nota rivista americana “The Atlantic” circa una correlazione tra sonno e COVID-19 (https://www.theatlantic.com/health/archive/2020/12/covid-19-sleep-pandemic-zzzz/617454/) concludendo che l’utilizzo di integratori a base di melatonina possono prevenire l’insorgenza di forme gravi di malattia o facilitarne il recupero.

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Prendo quindi spunto da questo articolo per affrontare l’argomento della rubrica di oggi, ossia l’epifisi, un organo di natura ghiandolare – conosciuto fin dall’antichità e che ha sempre destato curiosità negli studiosi dell’anatomia del corpo umano e del suo sistema nervoso in particolare – ammantato per oltre due millenni da un’aura di mistero e di cui soltanto da qualche decennio si sono iniziate a comprenderne meglio le funzioni.

Iniziamo con il localizzarla: come mostra l’immagine che abbiamo scelto a corredo di questo breve articolo, si trova a confine tra cervello e cervelletto, in una regione che prende il nome di “diencefalo” e che viene comunemente suddivisa in più porzioni, ossia il talamo e le sue aree circostanti (epitalamo, ipotalamo, metatalamo, peritalamo e subtalamo).

L’epifisi – che per la sua somiglianza a una piccola pigna ha preso anche il nome di ghiandola pineale – appartiene all’epitalamo, assieme ad altre strutture che per semplicità non nominerò. In passato è stata anche definita “il terzo occhio” e veniva indicata come “la sede dell’anima”. Come facessero gli antesignani della iatrofisica ad avere tutta questa fantasia non ci è dato di saperlo, ma temiamo fortemente che sia vero il contrario, ossia che l’evoluzione delle tecnologie da una parte e l’errata consapevolezza di avere tutto lo scibile a nostra (potenziale) disposizione dall’altra abbiano in buona parte spento quella curiosità generatrice di interrogativi scientifici che per secoli ha spinto l’uomo verso una conoscenza della struttura e della funzione del nostro corpo superiore rispetto al passato.

Devo quindi dire che chiunque abbia denominato per la prima volta l’epifisi “terzo occhio” (e denuncio la mia ignoranza, non so assolutamente chi sia stato) o era un genio o era un indovino. Dico questo perché soltanto da alcuni decenni si è scoperto che i raggi luminosi, che attraversano il nostro globo oculare andando a colpire la retina, attivano un complesso circuito neurale (che certamente non poteva essere noto in un’epoca nella quale neanche si sapeva cosa fossero i neuroni) che viaggia dall’occhio al diencefalo, scende per il tronco cerebrale al midollo spinale e, attraverso dei nervi che si originano nel torace, risale nel collo per rientrare nella testa e terminare proprio a livello dell’epifisi. Lo scopo di questo circuito è quello di inibire l’attività di questa ghiandola durante il giorno (quando i raggi luminosi sono più intensi), inibizione che si riduce all’imbrunire del sole e cessa durante la notte. Pertanto, l’attività dell’epifisi – come quella dell’occhio – viene regolata dai raggi luminosi, motivo per cui la definizione di “terzo occhio” resta ancor oggi più che valida.

L’ormone principale secreto dall’epifisi è la melatonina, che quindi viene prodotta maggiormente durante la notte, avendo innanzitutto un effetto sedativo. La quantità di melatonina secreta, tuttavia, si riduce negli anni, motivo per cui con l’età si inizia spesso a soffrire di insonnia. La melatonina in circolo, inoltre, agisce a livello di altri organi a funzione ghiandolare (quali ad esempio l’ipofisi, le paratiroidi, il pancreas endocrino, il surrene, ma anche le gonadi), sincronizzandone le attività, con effetti benefici complessivi e stimolanti la rigenerazione dei tessuti. Per questa ragione, chi dorme di più ha – almeno teoricamente – dei tessuti biologicamente più “giovani” rispetto ai cosiddetti “short-sleepers”, e ciò ha anche determinato il successo del consumo di melatonina sintetica, un integratore considerato da alcuni un vero e proprio “elisir di lunga vita” (anche se non c’è una visione condivisa nella comunità scientifica internazionale su questo argomento).

Parte di queste azioni benefiche vengono espletate attraverso l’azione che la melatonina ha sulle cellule immunitarie, ossia quelle coinvolte nell’infiammazione. Nell’immaginario comune, l’infiammazione è qualcosa di deleterio e va combattuta (e da ciò deriva l’uso spesso irragionevole e/o spropositato di antinfiammatori che molti di noi fanno), mentre essa in realtà è un processo fisiologico, presente basalmente in molti tessuti allo scopo di stimolarne la costante rigenerazione o la riparazione in caso di alterazioni ingenerate dallo stress cellulare. È l’eccesso di infiammazione (come quello che si sviluppa durante le forme più gravi di COVID-19) ad essere nocivo e a richiedere l’intervento farmacologico più appropriato per “spegnerla”.

Quest’azione modulatrice sul sistema immunitario è condivisa dalla melatonina con il cosiddetto “sistema parasimpatico”, una delle due divisioni del sistema nervoso autonomo (essendo l’altra l’ortosimpatico), ossia quella parte del sistema nervoso che regola le funzioni viscerali: anche il parasimpatico – prevalentemente per mezzo del suo nervo più grande, ossia il nervo vago – ha azione modulatrice sull’infiammazione, soprattutto durante il sonno (sic!), cercando di riportarla a livelli fisiologici laddove non dovesse esserlo.

Queste considerazioni di ordine morfologico e funzionale hanno portato i ricercatori del Cleveland Clinic’s Genomic Medicine Institute a investigare, attraverso tecniche di intelligenza artificiale, la correlazione tra sonno e COVID-19, postulando alla fine che le persone che dormono di più avrebbero probabilità inferiori di sviluppare le forme più gravi di COVID-19 e ancor meno di morirne. Se fosse così, l’utilizzo di melatonina sintetica potrebbe essere prescritto ai soggetti più a rischio come forma di prevenzione, e in effetti attualmente nel mondo sono in corso vari trials clinici per verificare la correlazione tra consumo di melatonina e prognosi dopo infezione da SARS-CoV-2 (il virus che causa la COVID-19). Se ciò quindi corrisponderà a vero, lo scopriremo nei prossimi mesi. Nell’attesa, auguro buon sonno ristoratore a tutti.

(Nota: l’immagine riprodotta è stata presa e modificata dal volume “Prometheus: Atlante di Anatomia”, seconda edizione italiana a cura di Francesco Cappello et al., Casa Editrice EdiSES, 2018, Napoli. Si ringrazia l’Editore)

 

di Francesco Cappello
© Riproduzione Riservata
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