Sanità in Sicilia

Gocce di Anatomia: le pietre filosofali e l’elisir dell’eterna giovinezza

Francesco Cappello Professore Ordinario di Anatomia Umana Università degli Studi di Palermo

Qualche giorno fa è apparso su una importante rivista scientifica (CellStemCell, https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S1934590920304926) un bell’articolo – tutto made in USA – che dimostra come sia tecnicamente possibile ottenere , a partire da cellule del sangue, cellule indifferenziate in grado di riprodurre l’epitelio respiratorio. In tal modo, si può generare in laboratorio un modello “in vitro” per studiare alcuni aspetti molecolari di malattie umane, tra cui l’asma e la fibrosi cistica.

Il nostro interesse verso questo studio nasce dal fatto che le vie aeree sono oggetto di ricerche in Anatomia umana a Palermo da diversi lustri. Recentemente, il gruppo di Fabio Bucchieri, nostro anatomista, ha messo a punto un modello di colture tridimensionali unico al mondo che consente di superare molti limiti della sperimentazione bidimensionale “in vitro”, tanto da essere stato premiato dall’Agenzia Spaziale Europea con un grant per finanziare lo studio degli effetti della permanenza dell’uomo per lunghi periodi in condizioni di assenza di gravità sull’apparato respiratorio, in previsione dei viaggi per Marte, studi attualmente in corso nei nostri laboratori.

Un altro organo molto studiato nel nostro Istituto è stato ed è il cuore (cavallo di battaglia del nostro Caposcuola, Giovanni Zummo). Polmone e cuore sono organi di vitale importanza, sulla cui rigenerazione sono state scritte tonnellate di pubblicazioni e spesi miliardi di dollari per la ricerca nel mondo. La speranza di poter ricreare in laboratorio, a partire da cellule staminali, un organo “nuovo di zecca” da impiantare nell’uomo, al posto di uno danneggiato, ha illuso generazioni di ricercatori, di pazienti e di loro parenti, ma non è ancora del tutto tramontata.

Mentre le tecniche biomediche si raffinano e i ricercatori di vari gruppi tentano ancora le strade più ardite per raggiungere questo traguardo, il fallimento di decenni di studi sulla rigenerazione degli organi a partire dalle cellule staminali (ormai adoperate prevalentemente per costruire modelli sperimentali per lo studio di fenomeni biologici cellulari isolati, come nel caso citato all’inizio di questo articolo) è lì a ricordarci non solo che siamo ancora lontani dalla piena conoscenza di come funzioni il corpo umano ma anche che la migliore maniera per prevenire e/o rallentare la degenerazione dei nostri organi e tessuti resta lo stile di vita, i cui cardini sono una alimentazione sana e parca e una pratica costante dell’esercizio fisico.

Se è vero infatti che – rispetto a cent’anni fa – oggi disponiamo di farmaci efficaci per malattie un tempo incurabili (pensiamo semplicemente agli antibiotici o agli antiipertensivi), molte delle “guarigioni” di varie affezioni che affliggono transitoriamente il nostro corpo rimangono merito della spontanea capacità rigenerativa dei nostri tessuti, maggiore nel bambino e nel giovane che nel soggetto adulto/anziano, per ragioni legate a quell’orologio biologico che sembra scandire il tempo che passa inesorabilmente nelle nostre cellule e che a tutti piacerebbe rallentare.

In che modo, allora, l’alimentazione e l’esercizio fisico possono “rallentare” questo orologio? La ricerca ci ha fornito, negli ultimi decenni, indizi chiari, tanto da poter oggi fare elenchi di “buone prassi”, facilmente trovabili in siti specialistici ma anche nella comune stampa divulgativa, che vanno dal mangiare poco, di più al mattino e meno nel resto della giornata, al praticare periodicamente brevi periodi di digiuno, dal bere molta acqua al compiere una pratica di esercizio fisico aerobico quotidiano e costante, e così via.

In realtà, si tratta di raccomandazioni generiche che spesso difficilmente sono applicabili ai singoli individui, vuoi per le proprie caratteristiche antropometriche, per le abitudini di vita consolidate e difficilmente modificabili (senza grossi sacrifici), per eventuali patologie croniche presenti e per altre, numerose ragioni culturali e socio-economiche. Questo è il motivo per il quale da pochi anni una nuova “specializzazione” medica è sorta ed è andata ad affiancare una specializzazione già esistente da molti anni, trasformandola da un “prodotto di nicchia” a una specializzazione di crescente importanza: mi riferisco alla ex “Medicina dello Sport”, che oggi prende il nome di “Medicina dello Sport e dell’Esercizio Fisico” (di cui all’Università di Palermo sono il Direttore pro-tempore). Questa piccola “aggiunta” è stata in realtà una vera e propria “rivoluzione copernicana” non ancora pienamente compresa nel mondo medico scientifico: l’esperienza e le conoscenze sul corpo umano, maturate in tanti anni a fianco di soggetti praticanti sport ad alto livello, viene messa a disposizione di tutti i cittadini.

La “Medicina dell’Esercizio Fisico”, infatti, non si rivolge a chi pratica sport (in maniera agonistica, professionistica o dilettantistica), ma si rivolge a tutto il resto della popolazione, giovani e adulti, inclusi i bambini, gli anziani, i portatori di handicap e i soggetti affetti da patologie croniche, più o meno invalidanti: tutti abbiamo bisogno di un aiuto per incrementare il nostro stato di benessere psicofisico.

La Medicina dell’Esercizio Fisico si propone in particolare di studiare il paziente nella sua interezza, con un “approccio olistico”, al fine di comprendere le necessità e le potenzialità del singolo per migliorare lo stile di vita e, di conseguenza, lo stato di salute, allontanando – per quel che si può – i fattori di rischio di cui è conosciuto il ruolo favorente l’insorgenza di gravi malattie (come il cancro, le malattie cardiovascolari o la demenza), e quindi migliorare l’aspettativa di vita.

Tutti siamo consapevoli che potremmo stare meglio di come stiamo: il medico dell’esercizio fisico ha il compito di studiare le caratteristiche individuali del nostro corpo, fisiche, psichiche e metaboliche, e aiutarci in questo percorso, facendoci guadagnare ogni anno dei “punti” nella “scala del benessere”. È la quintessenza della personalizzazione della medicina. Lo specialista in Medicina dell’Esercizio Fisico dovrà quindi acquisire e possedere approfondite conoscenze di Anatomia, Fisiologia e Biochimica, discipline di base fondamentali per comprendere se l’organismo è in buone condizioni di salute, o meno, e come fare per migliorarle.

È intuitivo che l’esercizio fisico non può essere prescritto né somministrato senza – al contempo – prescrivere e somministrare dei corretti suggerimenti nutrizionali; e – senza la volontà del soggetto di seguire sia gli uni che gli altri – lo sforzo in una sola direzione è destinato a non produrre i risultati attesi. È altresì intuitivo che quest’obiettivo può essere meglio raggiunto se a studiarci e seguirci in questo percorso non c’è soltanto il medico dell’esercizio fisico ma un team di specialisti, tra cui un esperto di nutrizione, un laureato in scienze motorie (colui che l’esercizio fisico prescritto lo deve “somministrare” in maniera efficace) e, laddove necessario, anche uno psicologo.

Nella medicina territoriale del futuro (e nel mondo ideale che tutti auspichiamo), penso di non essere il solo a vedere questi Centri come i pilastri del miglioramento o del mantenimento del benessere di ciascuno di noi, che in termini economici si tradurrebbe in un notevole risparmio per i servizi sanitari in termini sia di erogazione di prestazioni diagnostiche e terapeutiche che di costi legati a farmaci.

Dedico quindi questo breve articolo ai miei specializzandi (in questi giorni, quattro di loro conseguono il diploma di specialisti) e, soprattutto, ai loro futuri pazienti.

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