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Farmaci e diabete: non solo zuccheri ma affari di cuore!

Gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (cosiddetti SGLT2 inibitori) sono farmaci antidiabetici orali che fanno parte della enorme innovazione terapeutica di questi ultimi anni nel trattamento del diabete.

Questi come altri farmaci di recente disponibilità hanno cambiato le prospettive terapeutiche del diabetologo che fino ad adesso era concentrato nella normalizzazione o miglioramento degli elevati livelli glicemici e della emoglobina glicosilata, indicatori entrambi del livello e della variabilità del glucosio ematico.

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Il cambio di paradigma è diventato evidente quando ci si è resi conto che la terapia può essere prescritta non solo per il miglioramento dei livelli glicemici ma anche, se non soprattutto, per il miglioramento degli outcome cardiovascolari cioè i cosiddetti M.A.C.E.  (Major Adverse Cardiovascular Events: infarto miocardico, ictus o morte cardiovascolare) e/o un mix di morte cardiovascolare, ospedalizzazione per scompenso cardiaco o progressione di malattia renale. Una recente revisione sistematica (Lancet novembre 2018) della letteratura con meta-analisi (una tecnica quantitativa clinico-statistica che permette di riassumere i dati quantitativi di più studi) chiarisce il ruolo dei diversi trial clinici, fino ad ora effettuati e pubblicati, nella prevenzione primaria e secondaria degli eventi cardiovascolari e renali, di seguito indicati con i loro acronimi: EMPA-REG (con empaglifozin), CANVAS (con Canaglifozin) e DELARE-TIMI 58 (con dapaglifozin).

Il trattamento con questi farmaci ha permesso di ridurre il rischio di eventi compositi cardio e cerebrovascolari del 23% sia in prevenzione primaria che secondaria. In poche parole pazienti che non presentavano malattia cardiovascolare ricevevano un chiaro beneficio con una riduzione di infarto ictus, morte cardiovascolare e ospedalizzazione per scompenso cardiaco.

Anche coloro che avevano avuto un evento cardiovascolare prima dell’inizio della terapia si beneficiavano dell’azione protettiva da parte di questi nuovi farmaci. Tutti i pazienti avevano anche una riduzione del danno renale valutato come progressione di malattia, insufficienza renale terminale e morte per cause renali. In questo caso il beneficio è stato del 45% di riduzione sia nei pazienti in prevenzione primaria che secondaria. Ci sono dei punti critici che non posso dimenticare.

Un’alta eterogeneità nei risultati dei differenti studi. Questo comporta la necessità di valutare ulteriori dati e considerare a fondo le differenze nella popolazione reclutata e studiata dai vari trial. Inoltre, ci sono osservazioni che riguardano possibili eventi avversi da parte di questo tipo di farmaci che spingono alla cautela in pazienti che hanno una arteriopatia periferica o problemi di perfusione cerebrale. E’ il solito richiamo alla buona clinica e il diabetologo deve ricordarsi che i suoi obiettivi di cura sono cambiati.

Da una parte, devono essere sempre più orientati alla prevenzione del danno cardio e cerebrovascolare piuttosto che focalizzati solo sui valori di glicemia ed emoglobina glicosilata, dall’altra deve anche saper valutare a fondo, da clinico, le caratteristiche dei pazienti con una visione olistica che parte da una buona anamnesi ed esame obiettivo da internista eccellente.

Questo approccio è fondamentale per inquadrare e risolvere i problemi di salute ormai di una grande fetta di pazienti affetti da patologie croniche che spesso si embricano fra loro.

Purtroppo, il nostro sistema sanitario tratta ancora il paziente come se fosse un insieme di pezzettini e non un organismo complesso.

Diventerà sempre più importante, già lo è, avere questo tipo di approccio internistico al paziente, perché bisogna recuperare le vecchie tradizioni dell’ars medica e reinventarle alla luce delle nuove tecnologie e dell’innovazione terapeutica per ottimizzare i percorsi di diagnosi e cura, contribuendo così alla sostenibilità del sistema.

di Salvatore Corrao
© Riproduzione Riservata
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