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Diabete mellito di tipo 1: il calcolo dei carboidrati è sufficiente per stabilire la dose di insulina al pasto?

di Domenico Greco

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Dirigente Medico U.O.C.  “Malattie Endocrine, del Ricambio e della Nutrizione” – P.O. “P. Borsellino” Marsala (ASP Trapani).

E’ cognizione comune che quantità e qualità dei carboidrati introdotti con la dieta rappresentano i determinanti principali dell’incremento post-prandiale della glicemia. In particolare, nel soggetto con diabete mellito di tipo 1 (DM1), carente di insulina, l’utilizzo dei carboidrati degli alimenti non può avvenire in maniera completa se non si corregge in modo proporzionale il deficit insulinico. Il soggetto con DM1 viene pertanto ormai comunemente educato, fin dalla diagnosi,  al cosiddetto “calcolo dei carboidrati”, tecnica che gli permette di regolare in autonomia la posologia dell’insulina al pasto, in funzione della quantità dei carboidrati assunti.

E’ altrettanto vero (e i diabetologi lo sanno bene) che il semplice “calcolo dei carboidrati”, seppur applicato in modo rigoroso, spesso non consente un controllo ottimale dei valori glicemici nelle ore seguenti il pasto. Numerosi altri fattori, alimentari e non, intervengono infatti nel modificare la risposta glicemica al pasto. Un recente articolo ed un editoriale ad esso collegato (“Insuling dosing for fat and protein: is it time?”), apparsi sulla prestigiosa rivista internazionale Diabetes Care (vol. 43, gennaio 2020) hanno il merito di riproporre in maniera brillante un argomento abbastanza controverso: l’importanza e il  ruolo del contenuto di grassi e di proteine del pasto e la necessità che vengano considerati opportunamente nel calcolo della dose insulinica da programmare.

Nello studio in oggetto, soggetti DM1, in terapia con microinfusore, venivano sottoposti a  differenti pasti contenenti la stessa quantità di carboidrati ma quantità crescenti di grassi (saturi, mono- o poli-insaturi). La risposta glicemica ai suddetti pasti , a dose insulinica fissa, evidenziava un significativo e proporzionale aumento della glicemia post-prandiale tardiva (distanza di 2-5 ore dall’assunzione), indipendentemente dal tipo di grasso introdotto. La seconda fase dello studio prevedeva la ripetizione degli stessi pasti, modificando però la dose di insulina somministrata in rapporto al carico lipidico e in modo da ottenere un adeguato controllo glicemico. L’assunzione di 20 g di grasso richiedeva un incremento del 6% della posologia insulinica iniziale mentre 60 g di grasso ne richiedeva il 21% in più.

Grassi e proteine, infatti, anche se con entità e in tempi diversi dai carboidrati, contribuiscono in modo sostanziale al rialzo post-prandiale “tardivo” della glicemia. I meccanismi attraverso cui i diversi nutrienti possono impattare sulla glicemia nel  DM1, sono rappresentati in maniera semplificata nello schema allegato. Mentre i carboidrati vengono assorbiti rapidamente e, ovviamente,  contribuiscono in maniera determinante al rialzo immediato dei valori glicemici, la presenza nel pasto di quantità rilevanti di grassi o proteine, inducono un rialzo molto più ritardato nei tempi e di entità strettamente legata alla quota assunta. Pasti molto ricchi in grassi, oggi sempre più frequenti, possono quindi richiedere un adeguato incremento della posologia insulinica (e potenzialmente  essere con essa completamente corretti).

di Manlio Melluso
© Riproduzione Riservata
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