Nel 2025, andare dal medico, fare un’ecografia o un semplice prelievo del sangue ha un prezzo più chiaro per tutti gli italiani. Da quando è entrato in vigore il nuovo tariffario unico nazionale, che fissa i costi delle prestazioni sanitarie erogate dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), si è deciso di mettere ordine in un panorama fin troppo frammentato. Una riforma attesa da anni, che punta a garantire equità e trasparenza. Ma quanto incide, oggi, la spesa sanitaria sulle tasche dei cittadini? E cosa succede in una regione fragile come la Sicilia, dove l’accesso alle cure è spesso una corsa a ostacoli?
Le nuove tariffe, cosa cambia per il cittadino?
Anche le analisi di laboratorio, tra le prestazioni più richieste, beneficiano di un calo generalizzato. Un pacchetto base (emocromo, glicemia, colesterolo, ecc.) ha oggi un costo complessivo di 14,45 euro, in calo del 18% rispetto al passato. L’intento del Ministero della Salute è quello di disincentivare il ricorso alle strutture private solo per motivi economici e alleggerire il peso dei ticket per i cittadini.
Curarsi in Sicilia è ancora un lusso?
Se i numeri nazionali parlano di una riforma importante, in Sicilia la realtà quotidiana è ben più complessa. Secondo uno studio della Fondazione Gimbe pubblicato nel 2024, la spesa sanitaria privata pro-capite nell’Isola è di appena 433 euro l’anno, contro una media nazionale di 730 euro. Un dato che è sintomo di una fragilità economica e di una insufficienza di accesso ai servizi.
Nonostante ciò, la quota di spesa sanitaria privata sul totale della spesa è tra le più alte d’Italia: il 23,9%, contro una media nazionale del 20,3%. Significa che i siciliani, pur avendo meno risorse, sono spesso costretti a rivolgersi al privato – o al privato convenzionato – per ottenere prestazioni in tempi ragionevoli. Una contraddizione che racconta molto della sanità siciliana: liste d’attesa lunghe, carenza di personale, strutture obsolete e un’offerta pubblica che fatica a rispondere alla domanda di salute. La carenza di servizi e la sfiducia verso il sistema sanitario locale alimentano quindi un fenomeno cronico, quello della migrazione sanitaria. Secondo i dati più recenti, i siciliani continuano a spostarsi in massa verso il Centro-Nord per ricevere le proprie cure. Nel 2023, il saldo negativo della mobilità sanitaria si è ridotto rispetto al 2019, ma resta significativo. A colmare parzialmente il divario sono le strutture private accreditate, che svolgono un ruolo sempre più centrale. Ma è una toppa, non una soluzione. Ogni paziente che si sposta è un costo per la Regione, e una sconfitta per il diritto alla salute.
Il diritto alla salute messo alla prova
La Sicilia, come altre aree del Sud, continua a vivere una sanità che molte volte viaggia “a doppia velocità”, dove il diritto alla cura diventa un percorso ad ostacoli, spesso delegato alla tenacia del singolo. La salute, troppo spesso, è considerata un costo anziché un investimento. Un approccio spesso troppo emergenziale e volto a “tappare falle” ogni qual volta esse si presentano. L’auspicio è che i prossimi anni segnino un cambio di rotta, restituendo ai cittadini quella fiducia nel sistema sanitario che oggi appare a tratti irrecuperabile.