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Covid, ecco perché alcune persone non si sono mai contagiate

Ad oggi, dopo più di due anni dall’inizio della pandemia e del diffondersi del virus da Sars-CoV2, esistono persone che non l’hanno ancora contratto. Si tratta di persone che hanno avuto contatti diretti con positivi, anche a lungo tempo, ma pure persone che frequentano luoghi affollati, dai locali notturni agli uffici di lavoro, alle università e alle scuole, luoghi in cui è quasi impossibile non venire a contatto col virus, eppure alcune persone sembrano esserne immuni. Ma come mai?

Innanzitutto giocano un ruolo fondamentale le cosiddette cellule di memoria. Alcune persone infatti possono eliminare il virus rapidamente perché hanno anticorpi preesistenti e cellule con una memoria immunitaria che riconoscono il virus. Si tratta ad esempio di cellule T con una reattività crociata, ovvero generate in precedenza per combattere coronavirus responsabili del comune raffreddore, che in base ad alcuni studi, sarebbero più numerose nei giovani e meno negli anziani.

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Altri importanti fattori sono le condizioni genetiche, in grado di indurre una risposta immunitaria differente rispetto a quella della stragrande maggioranza della popolazione. Questo meccanismo è in parte simile a quello già riscontrato con altre malattie, come l’Hiv, dove la delezione del gene, il CCR5 delta 32, conferisce a chi lo possiede una sorta di resistenza nei confronti dell’infezione.

Sistemi immunitari diversi dunque, rispondono al virus in maniera diversa. Bisogna considerare infatti che affinché il covid infetti, la proteina spike sulla superficie del virus ha bisogno di attaccarsi a proteine specifiche sulle cellule bersaglio, come la proteina Ace2. È possibile quindi che le persone resistenti all’infezione abbiano livelli diversi di Ace2 rispetto alle altre persone.

Oltre alla genetica, c’è chi parla di gruppo sanguigno. Alcuni studiosi canadesi infatti hanno visto, su uno studio condotto su 220mila persone, che il gruppo sanguigno 0 avrebbe il 12% di possibilità in meno di contrarre il virus, percentuale che migliora, salendo fino al 21%, in caso di Rh negativo. Le persone aventi il sangue di gruppo A e AB, invece, sembrerebbero essere più suscettibili al Coronavirus.

Altri studi poi, si concentrano sull’interferone, noto anche come “immunità innata“. Si è visto infatti che il 10-12% dei malati gravi di Covid-19 ha riportato differenze genetiche nella produzione dell’interferone, la molecola di difesa numero uno che il corpo produce quando si infetta poiché, contrariamente a quanto si pensa, la prima linea di difesa del nostro organismo in caso di attacco di un virus non è costituita dagli anticorpi, ma dalle molecole che cercano di neutralizzare o bloccare il virus. Quindi degli studiosi hanno visto che i soggetti che si ammalano più gravemente non producono interferone.

Non bisogna poi trascurare l’elevato numero di persone che ha contratto il Covid senza aver mostrato sintomi e dunque non avendo effettuato alcun test, per cui probabilmente molte persone sono state contagiate a loro insaputa.

Infine giocano un ruolo fondamentale i vaccini contro il Sars-CoV2. Questi funzionano esponendo il nostro sistema immunitario alla proteina spike del virus, e mettendo in moto anticorpi e cellule T specifiche che lasciano dietro di loro delle cellule di memoria, in grado di resistere anche per anni ed entrare in azione per prevenire la reinfezione. Il vaccino però, protegge dalle forme più gravi del virus, mentre le nuove varianti, sembrano esservi sempre meno resistenti, seppur si manifestino con sintomi lievi.

Col continuo sorgere di nuove varianti quindi, non c’è ancora alcuna garanzia che chi non ha ancora contratto il virus, non sarà infettato in futuro.

di Aurora Chiappara
© Riproduzione Riservata
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