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Gestione Coronavirus, tra sanità e politica| L’INTERVISTA

Ho incontrato, seppur da remoto, l’amico e collega Ninni Virga, medico neurologo del Policlinico di Palermo, esperto in qualità e sicurezza delle cure, e da una semplice chiacchierata ne è venuta fuori una intervista che mescola la competenza medica alla situazione politica del nostro Paese.

Ninni, tu che ti sei sempre occupato di sicurezza delle cure e anche di gestione sanitaria, che ne pensi della gestione della attuale pandemia da Covid19?

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L’esperienza del Covid 19, anzi della Sars-Cov2 per essere più precisi, ha rivelato in tutto il suo spessore la fragilità del nostro modello di sviluppo e ha messo in luce la mediocrità del nostro contesto politico e purtroppo ha anche incrinato la mia fiducia sulla classe medico scientifica di questo Paese. Ho sempre dedicato parte del mio tempo all’impegno politico come semplice cittadino, ma devo dire che l’emergenza pandemica mi ha convinto che occorre un impegno in prima linea e non più solo da cittadino militante. Ho visto il mio Paese davvero aver perso il senno e la misura delle cose. Tutto il dibattito che accompagna questa esperienza è davvero surreale, tutto in chiave da talkshow, ormai è una gara a chi la spara più grossa, a chi fa più scandalo per raccogliere il relativo ascolto.

Perché parli non solo di mediocrità gestionale ma anche di mediocrità scientifica?

Perché anche il mondo scientifico è caduto in questa trappola mediatica, ed il risultato è di non avere rappresentato né quella lucida e rigorosa prospettiva che è tipica del mondo scientifico né quella giusta rotta sulla quale indirizzare l’azione dei cosiddetti decisori ai vari livelli. Una comunità scientifica che ha perso di vista la ponderazione, la ricerca delle evidenze, delle osservazioni statisticamente significative, il principio di precauzione, la coerenza dei dati, non può che deludere tutti noi, te compresa, che in questo mondo ci lavoriamo da molti anni.

Condivido quanto dici, ma spesso si sente dire che siamo stati colti alla sprovvista.

Già, l’affermazione che non eravamo preparati ad una simile evenienza, grida vendetta. Si è dimenticata la storia della medicina, la microbiologia, la clinica e la gestione delle malattie infettive. Come si fa a sostenere che non potevamo aspettarcelo? E non solo in Italia, queste sono criticità presenti in tutti i paesi occidentali, dopo aver avuto negli ultimi dieci anni esperienze concrete di tipo epidemico e pandemico come la  SARS 1, l’Aviaria, la MERS, la H1N1, Ebola, etc. Addirittura per l’H1N1 si è parlato di pandemia e sono stati elaborati i piani pandemici, che sono rimasti sulla carta, perché il problema è sempre quello, la mancanza di implementazione delle norme, e in questo caso del piano, e la mancanza di verifiche e controlli.  Lo scenario che si ripete è sempre lo stesso: si verifica una crisi, e si forma immediatamente un tavolo di crisi, si fanno varie nomine tra le quali magari anche un commissario, si stanziano dei fondi e poi comincia l’oblio. Manca, ripeto, l’implementazione, la pianificazione tradotta in azioni, in verifiche e in rimodulazioni. La vicenda Cotticelli e Zuccatelli in Calabria è emblematica e adesso invochiamo Strada, come l’uomo della provvidenza. In Italia speriamo sempre nell’uomo della provvidenza, nello stellone che ci guida, nella capacità di cavarcela sempre e comunque, contando in questa arte di arrangiarci, sostenendo la stupidata che nelle situazioni di crisi viene fuori la forza del Paese e con quella ce la facciamo sempre. E questo ci pone in una situazione di inaffidabilità e di imbarazzante folklore.

Qual è secondo te la più grossa pecca di questa gestione?

L’incapacità di programmare, di pianificare, ma soprattutto di implementare e gestire. Sappiamo da almeno dieci anni che mancano medici specialisti, che le strutture sanitarie sono inadatte, che il processo di accreditamento istituzionale è fallito, che la medicina del territorio non può essere affidata solo ai medici di medicina generale,  personale che ha un contratto libero professionale e negozia ogni nuova esigenza assistenziale, e in questo senso, questa è una condizione non adatta in una situazione di emergenza urgenza come questa, e potrei continuare con tanto altro.

Io penso sempre che un grosso errore è stato quello, dopo la prima ondata, di non mantenere la cautela nelle riaperture.

Infatti, e in più abbiamo perso tempo nel preparaci alla seconda ondata; eravamo riusciti, con un sacrificio enorme delle attività produttive del Paese, a superare la prima fase e abbiamo non solo sprecato tempo prezioso, ma con il liberi tutti estivo, abbiamo fatto si che l’epidemia si sia diffusa fra i giovani, in modalità nascosta e asintomatica, e adesso abbiamo l’esplosione del contagio nella popolazione adulta con i nuovi picchi di ricoveri e morti, e gli ospedali in sofferenza. Purtroppo è proprio questa condizione di contagiosità degli asintomatici che fa sballare tutto. Ecco perché l’importanza di tamponare tutti e frequentemente dovrebbe essere una regola. Una tragedia che pagheremo al di la dell’evento infettivo, in chiave di ricostruzione economico-sociale, e non ne usciremo se non riusciamo a mitigare il disagio e la sofferenza di quelli che hanno dovuto chiudere bottega per il DPCM, attraverso l’immediato coinvolgimento di tutti, soprattutto di chi è stipendiato. Sono dell’idea che andrebbe varata una tassa una tantum per tutta la classe degli statali e parastatali che percepiscono uno stipendio oltre una certa soglia. Ciò dimostrerebbe da una parte che siamo comunità e dall’altra ridurrebbe la ragionevole disperazione che si tocca con mano, e che potrebbe portare ad un grave aumento degli atti di aggressione sociale e ad un più facile reclutamento di nuovi soldati per le organizzazioni mafiose. Ecco perché faccio appello, oggi più di ieri, per un nuovo impegno e una attiva partecipazione di tutti i cittadini come me.

Tu che hai competenze sulla qualità e sicurezza delle cure, hai fiducia nella distribuzione e utilizzo di questi vaccini quasi pronti?

Sono dell’idea che solo con i vaccini riusciremo a portare sotto controllo questa pandemia, e nella fattispecie, vista la necessità di una vaccinazione su  scala mondiale, se da un lato trovo molto interessante il vaccino della Pfizer perché molto innovativo da un punto di vista scientifico, dall’altro la sua complessità di conservazione e distribuzione pone delle inevitabili perplessità, perché occorre una attenta catena del freddo a meno 80 gradi, e quindi, proprio per quel principio di precauzione che deve sempre guidare la nostra azione sanitaria, preferirei puntare su quelli più tradizionali che non necessitano di così basse temperature per la loro conservazione.

Speriamo allora di poterci nuovamente incontrare presto e raccontarci che tutto questo è solo passato.

 

 

di Valeria Militello
© Riproduzione Riservata
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