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Colesterolo: ecco le nuove linee guida per ridurre il rischio cardiovascolare

Sono state pubblicate da poco, on line, le linee guida dell’American College of Cardiology e dell’American Heart Association sulla gestione dei livelli di colesterolo nel sangue (Journal of the American College of Cardiology 2018).

Queste linee guida al momento sono quelle più aggiornate e prendono in considerazione un problema tanto importante quanto sottovalutato cioè la gestione del colesterolo nel sangue i cui livelli elevati sono causa di una elevata incidenza di infarto miocardico e di malattie cardiovascolari aterosclerotiche in genere.

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Ho utilizzato il termine causa perché il nesso di forte causalità tra livelli di colesterolo-LDL e numero di eventi cardiovascolari è stato dimostrato da numerosi studi così come i benefici direttamente proporzionali al calo di tali livelli.

Peraltro, ricordo che esistono malattie genetiche come l’ipercoleterolemia familiare omozigote (nella forma più grave) o eterozigote che determinano livelli elevati di colesterolo-LDL con una aterosclerosi accelerata che, nei casi più gravi, determina infarto miocardico e/o morte cardiovascolare in tenera età.

Queste linee guida, basate sulle evidenze scientifiche, sono sintetizzate in dieci messaggi relativamente semplici che voglio proporre in una libera ma concettualmente fedele traduzione italiana.

  • Lo stile di vita corretto riduce il rischio di malattia cardiovascolare aterosclerotica in tutte le fasce d’età e rappresenta la principale terapia della sindrome metabolica (cioè la coesistenza di obesità addominale, alterati valori di pressione arteriosa e/o della glicemia, bassi livelli di colesterolo-HDL, ipertrigliceridemia);
  • In pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica si deve ridurre il livello di colesterolo-LDL di almeno il 50% con la terapia a base di statine alla massima dose tollerata o ad alta intensità;
  • Il paziente a rischio cardiovascolare molto alto bisogna ridurre il colesterolo-LDL sotto i 70 mg/dl. I pazienti con intolleranza alle statine o che continuano ad avere livelli ≥ 70 mg/dl nonostante la terapia con statine più ezetemibe bisogna aggiungere gli inibitori del PCKS9 (la terapia con la più recente classe di farmaci a carico del SSN);
  • Il pazienti con una ipercolesterolemia severa (colesterolo-LDL ≥190 mg/dL) devono essere trattati con una statina ad elevata intensità aggiungendo eventualmente anche l’ezetemibe. Se il livello di colesterolo-LDL rimane ≥100 mg/dL e il paziente ha altri fattori di rischio va considerata la terapia con un inibitore del PCKS9;
  • In pazienti tra 40 e 75 anni di età affetti da diabete mellito e con un colesterolo-LDL ≥70 mg/dL deve essere iniziata la terapia con statine e se il paziente ha un rischio cardiovascolare elevato allora è ragionevole utilizzare una statina ad alta intensità per ridurre i livelli di colesterolo-LDL di almeno il 50%;
  • In soggetti tra 40 e 75 anni senza malattie cardiovascolari devono essere discussi tutti gli interventi utili alla prevenzione primaria con una revisione di tutti i principali fattori di rischio (p.e. fumo, elevati valori di pressione arteriosa, colesterolo-LDL, emoglobina glicata nei pazienti diabetici) e bisogna calcolare il rischio a 10 anni (con le carte del rischio) prima di considerare i differenti interventi per ridurre il rischio cardiovascolare;
  • In soggetti tra 40 e 75 anni senza diabete mellito e con colesterolo-LDL ≥70 mg/dLe un rischio a 10 anni ≥7.5% bisogna iniziare la terapia con statine per ridurre il colesterolo-LDL ≥30%. Nel caso di rischio a 10 anni ≥20% bisogna ridurre il colesterolo-LDL ≥50%;
  • In soggetti tra 40 e 75 anni senza diabete mellito, con un rischio cardiovascolare intermedio (tra 5% e 19.9%) bisogna iniziare una terapia con statine se il colesterolo-LDL≥70 mg/dL e ci sono almeno uno dei seguenti fattori di rischio: anamnesi familiare positiva per malattie cardiovascolari precoci, livelli di colesterolo ≥160 mg/dL sindrome metabolica, malattia cronica renale, anamnesi patologica remota di preeclampsia o menopausa prematura, malattie infiammatorie croniche (p.e. artrite reumatoide, psoriasi, HIV nel paziente cronico), trigliceridemia≥175 mg/dL, apolipoproteina B ≥130 mg/dL, proteina C reattiva ad elevata sensibilità ≥2.0 mg/L, un ankle-brachial-index< 9, lipoprotein (a) ≥50 mg/dL o 125 nmol/L;
  • In soggetti tra 40 e 75 anni senza diabete mellito, con un rischio cardiovascolare intermedio ( tra 5% e 19.9%) e con colesterolo-LDL entro il livello di 189 mg/dL se la decisione di intraprendere una terapia con statine rimane dubbia bisognerebbe considerare la misurazione del calcio coronarico (con la TAC), iniziando la terapia con statine se lo score è≥100 Agaston units;
  • bisogna valutare l’aderenza al trattamento dei farmaci ipocolesterolemizzanti con un primo esame di controllo tra 4 e 12 settimane e successivamente dopo gli eventuali aggiustamenti posologici ogni 3-12 mesi. In pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica a rischio molto elevato il target di colesterolo deve essere ≤ 70 mg/dL.

Queste linee guida sono relativamente più complesse di quelle europee (del 2016) ma entrambe sottolineano l’importanza di stratificare i pazienti sulla base del rischio cardiovascolare e quindi sulla conseguente scelta del target di colesterolo da raggiungere e superare.

Infatti, dovrebbe essere ricordato da tutti che non è importante fare la terapia ipocolesterolemizzante ma farla per abbassare il colesterolo al di sotto di 70 mg/dL nei soggetti a rischio molto elevato e <100 mg/dLin quelli a rischio elevato. Solo in questo modo, assieme al cambiamento dello stile di vita è possibile ridurre  gli eventi cardiovascolari in modo significativo ed economicamente favorevole per il sistema. Gli inibitori del PCKS9 rappresentano una importante arma contro i livelli elevati di colesterolo-LDL (in associazione o meno con statine) anche se sono necessari programmi di sorveglianza post-marketing per essere sicuri della loro efficacia e sicurezza nel lungo termine.

di Salvatore Corrao
© Riproduzione Riservata
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